Not my son
personale di Vincenzo Mascoli dal 22 agosto al 5 settembre 2017
Ritagli di riviste accumulate negli anni diventano, nelle opere dell’artista, collage di sfondo al racconto di un mondo mediatizzato. Mosaici coloratissimi che, per dirla con Susca e De Kerckhove, estendono “lo spazio dell’immaginazione, le pulsioni dell’onirico, del ludico e del simbolico a quella che è l’architettura dell’abitare, sino a toccarne le sue forme più rigide”. Icone pop, titoli, frammenti di storie, oggetti di uso quotidiano, perdono la loro funzione originaria per fondersi tutti insieme sul medesimo piano percettivo. Le immagini, definitivamente astratte dal loro contesto, assumono nuova vita nel gioco linguistico dell’artista, un po’ pittore e un po’ pubblicitario. Volti noti della politica accanto a profili di bambini emergono dagli sfondi policromi come santi pronti per essere adorati, fuori dalla storia. Vecchi giocattoli pietrificati, come sommersi da un magma, sono sentinelle a guardia del tempo. Mascoli, in una vera e propria operazione di polbusting, cioè di sabotaggio del politico attraverso la manipolazione dell’immagine, sembra dirci che quando la realtà si fa oggetto, niente ha senso se non nel consumo. E i suoi soggetti altro non sono che oggetti di consumo prestati al gioco dell’intuizione, che decostruisce e ricostruisce un nuovo mondo immaginifico.
Mascoli offre senz’altro una visione molto particolare della ritrattistica contemporanea, che si è fatta apprezzare da Bari a Roma fino a New York. In mostra a Locorotondo ritratti di bambini e personaggi dei cartoon e sculture create con dei vecchi giochi ormai inutilizzati. L’impatto visivo è immediato, ma occorre osservare i dettagli per cogliere la sottile critica sociale dell’artista, ri-comporre le immagini incollate sullo sfondo come parole a formare frasi. Lo shock è doppio. NOT MY SON. Non mio figlio. Non quello di cui ora scopriamo i pensieri attraverso i collage di ritagli di riviste. E i suoi cartoni preferiti non posso avergli mostrato quello che ora si dispiega davanti ai nostri occhi. Il pensiero è agghiacciante. Si resta impietriti, come quei vecchi giochi che ormai servono solo a mostrarci un’assenza. Quella, appunto, del bambino.